[17-07-2020] Nell’annuale appuntamento con i dati forniti dall’Ispettorato del lavoro sulle dimissioni o risoluzioni dei rapporti di lavoro da parte di lavoratrici madri e lavoratori padri, emergono molte conferme e qualche segnale di discontinuità e si caratterizzano alcune interessanti differenze territoriali rispetto al complessivo esito nazionale.
I dati, riferiti come sempre all’anno precedente – qui il 2019 – per un totale di 51.558 pratiche sottoposte a convalida sul territorio nazionale, confermano:
La ripartizione per macro-area regionale vede spiccare il nord-Italia con oltre 35 mila pratiche di convalide (37 mila con le Province autonome di Trento e Bolzano), contro le 10 mila circa del centro e 8 mila del sud e isole. Tra le regioni più cariche di lavorao, il Veneto ha gestito 8.439 convalide, contro le 11.105 della Lombardia e le 5.447 dell'Emilia Romagna.
È interessante notare che in area veneziana, dove le pratiche assommano a 1.331, qualche segnale di cambiamento c’è e proprio sul fronte della distribuzione per genere , dove il distacco tra lavoratrici e lavoratori è di “soli” 18 punti (59% le prime e 41% dei secondi), contro i 46 punti di differenza del dato nazionale. In assenza di adeguata analisi, si potrebbe pensare ad un maggior attaccamento delle donne veneziane al lavoro o ad una maggiore necessità di più alto reddito.
E tuttavia i problemi permangono e fra tutti si conferma ancora lontana dalla percezione delle lavoratrici madri l’esigenza dei servizi all’infanzia, che costituiscono un ostacolo per il 22% chiamando in causa i costi troppi alti o posti insufficienti al nido. Fa una certa impressione che quasi l’80% dunque accusi l’assenza di una rete parentale di supporto, nonni o altri parenti che siano, identificati tout court come sostituti dei servizi all’infanzia. Una percezione che andrebbe sondata e sicuramente cambiata in favore di un miglioramento della risposta territoriale al sostegno di genitorialità ed educazione all’infanzia.
Anche per l’area metropolitana le motivazioni si fanno allora “questione di genere”, visto che i lavoratori padri si concentrano per l’82% nella esigenza di “passaggio ad altra azienda”, lasciando briciole alle ragioni di conciliazione “legate ai servizi di cura” (1%) o “legate all’azienda in cui lavoro” (3%) e altre più generiche motivazioni.
Non si può sottacere poi della questione di genere per eccellenza nei luoghi di lavoro, quella del part-time, dove le donne mantengono una posizione schiacciante in ogni realtà produttiva, con gravi ripercussioni sul mantenimento della disparità reddituale e di carriera. Non bastasse, la richiesta di part-time come ultima spiaggia prima di dimettersi definitivamente in periodo di tutela della maternità, resta massiccia e squisitamente femminile. Nel 2019 infatti in quest’area metropolitana le domande di concessione sono state 121, circa il 10% del totale delle richieste di dimissioni, ma solo 5 provenienti dai lavoratori. E le concessioni 85, di cui 1 a favore del lavoratore padre.
Se c’è dunque una evoluzione nella società nazionale e nelle più piccole realtà locali sul riequilibrio delle condizioni di disparità di genere in campo lavorativo, può ben dirsi che essa è lenta e faticosa, anche a giudicare questo ristretto ambito delle dimissioni in maternità e paternità. L’area metropolitana sembra in buona posizione sulla distribuzione per genere delle richieste di dimissioni, ma il quadro complessivo fa ritenere che la parità sia un miraggio e i dati favorevoli dovuti più alla situazione di svantaggio iniziale che a mutate condizioni di pari opportunità.
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aggiornato il 24/07/2020