Dimissioni dal lavoro nei primi 3 anni di vita della prole, differenze di genere in diminuzione ma parità lontana

donna multitasking (da www.freepik.com)

[17-07-2020] Nell’annuale appuntamento con i dati forniti dall’Ispettorato del lavoro sulle dimissioni o risoluzioni dei rapporti di lavoro da parte di lavoratrici madri e lavoratori padri, emergono molte conferme  e qualche segnale di discontinuità e si caratterizzano alcune interessanti differenze  territoriali rispetto al complessivo esito nazionale.

 

I dati, riferiti come sempre all’anno precedente – qui il 2019 – per un totale di 51.558 pratiche sottoposte a convalida sul territorio nazionale, confermano:

  • le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro rappresentano il 2%, per giusta causa il 3%. Le dimissioni volontarie, il 95%, costituiscono così una sorta di “capitolazione†per mancanza di alternative. La cosa appare ancora più evidente nello scollamento tra richieste di conciliazione  (richiesta di part-time) poste da lavoratori e lavoratrici e risposta delle aziende (positiva al 21%);
  • il peso del lavoro grava sulla maternità* (vedi Approfondimento a fondo pagina) piuttosto che sulla paternità (73% lavoratrici contro 27% di lavoratori), pur segnalando un progressivo riallineamento di genere (basti ricordare che nel 2011 i lavoratori padri che presentavano dimissioni non arrivavano al 3%);
  • un’abissale differenza di genere tra le motivazioni:  per le lavoratrici tutto ciò che ha a che fare con la conciliazione con i tempi di cura dei figli, per i lavoratori il trasferimento ad altra azienda.

​La ripartizione per macro-area regionale vede spiccare il nord-Italia con oltre 35 mila pratiche di convalide (37 mila con le Province autonome di Trento e Bolzano), contro le 10 mila circa del centro e 8 mila del sud e isole. Tra le regioni più cariche di lavorao, il Veneto ha gestito 8.439 convalide, contro le 11.105 della Lombardia e le 5.447 dell'Emilia Romagna. 

 

È interessante notare che in area veneziana, dove le pratiche assommano a 1.331, qualche segnale di cambiamento c’è e proprio sul fronte della distribuzione per genere , dove il distacco tra lavoratrici e lavoratori è di “soli†18 punti (59% le prime e 41% dei secondi), contro i 46 punti di differenza del dato nazionale. In assenza di adeguata analisi, si potrebbe pensare ad un maggior attaccamento delle donne veneziane al lavoro o ad una maggiore necessità di più alto reddito.

 

E tuttavia i problemi permangono e fra tutti si conferma ancora lontana dalla percezione delle lavoratrici madri l’esigenza dei servizi all’infanzia, che costituiscono un ostacolo per il 22% chiamando in causa i costi troppi alti o posti insufficienti al nido. Fa una certa impressione che quasi l’80% dunque accusi l’assenza di una rete parentale di supporto, nonni o altri parenti che siano, identificati tout court come sostituti dei servizi all’infanzia. Una percezione che andrebbe sondata e sicuramente cambiata in favore di un miglioramento della risposta territoriale al sostegno di genitorialità ed educazione all’infanzia.

 

Anche per l’area metropolitana le motivazioni si fanno allora “questione di genereâ€, visto che i lavoratori padri si concentrano per l’82% nella esigenza di “passaggio ad altra aziendaâ€, lasciando briciole alle ragioni di conciliazione “legate ai servizi di cura†(1%) o “legate all’azienda in cui lavoro†(3%) e altre più generiche motivazioni.

 

Non si può sottacere poi della questione di genere per eccellenza nei luoghi di lavoro, quella del part-time, dove le donne mantengono una posizione schiacciante in ogni realtà produttiva, con gravi ripercussioni sul mantenimento della disparità reddituale e di carriera. Non bastasse, la richiesta di part-time  come ultima spiaggia prima di dimettersi definitivamente in periodo di tutela della maternità, resta massiccia e squisitamente femminile. Nel 2019 infatti in quest’area metropolitana le domande di concessione sono state 121, circa il 10% del totale delle richieste di dimissioni, ma solo 5 provenienti dai lavoratori. E le concessioni 85, di cui 1 a favore del lavoratore padre.

 

Se c’è dunque una evoluzione nella società nazionale e nelle più piccole realtà locali sul riequilibrio delle condizioni di disparità di genere in campo lavorativo, può ben dirsi che essa è lenta e faticosa, anche a giudicare questo ristretto ambito delle dimissioni in maternità e paternità. L’area metropolitana sembra in buona posizione sulla distribuzione per genere delle richieste di dimissioni, ma il quadro complessivo fa ritenere che la parità sia un miraggio e i dati favorevoli dovuti più alla situazione di svantaggio iniziale che a mutate condizioni di pari opportunità.

 

Per saperne di più

 

*Approfondimento

 

 

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aggiornato il 24/07/2020