[05-01-2017] - Più lavoro e meno soldi se chi lavora è donna. E' un bilancio ancora amaro quello emergente dal secondo rapporto "L'occupazione maschile e femminile in Veneto 2016", pubblicato in questi giorni, sulla situazione del personale nelle aziende del territorio con oltre cento dipendenti e prodotto dalla Consigliera regionale di parità Sandra Miotto, con il supporto tecnico della direzione ICT e Agenda Digitale del Veneto attraverso il Sistema Statistico dell'ente.
Alla seconda edizione su dati del biennio 2014-2015, il volume si svolge in quattro capitoli che forniscono un'analisi dettagliata dell'indagine, realizzata attraverso un applicativo web appositamente costruito, su cui le aziende hanno direttamente imputato i dati.
La ricerca è voluta dal Ministero del lavoro e ha lo scopo di monitorare l'attuazione dei principi di uguaglianza, pari opportunità e non discriminazione nei luoghi di lavoro tra donne e uomini, con la promozione e il coordinamento della Consigliera di parità regionale.
L'analisi ha riguardato 1.057 aziende del territorio con oltre 100 dipendenti, che insieme hanno in carico 858.751 occupati, di cui il 46,8% donne. Diversa la concentrazione di genere nei settori produttivi. Si conferma in questo senso quanto da anni si osserva: concentrazione massima nei settori della ristorazione (79%), nei servizi socio-sanitari (75%) e nell'istruzione (72%), per diradarsi nel terziario (39%), attività manifatturiere (29%) e quasi scomparire nel settore delle costruzioni (11%).
Una conferma del quadro anche sul fronte della scolarità, dove si registra da tempo il sorpasso tra donne e uomini, le prime laureate per almeno un terzo delle occupate, i secondi sono al 20 per cento. Una primazia che poi non si rispecchia né sull'accesso al lavoro né sulla retribuzione.
I dati 2015 dicono che il tasso di occupazione femminile è del 54% (in crescita rispetto al 1993 di ben 11 punti percentuali) contro il 73% di quello maschile. Anche le posizioni professionali e retributive osservano il divario di genere: tra i dirigenti le donne sono il 39 per cento, nelle libere professioni il 36. Per non tacere del fatto che il 66 per cento delle aziende dell'indagine hanno solo dirigenti uomini.
Il gap retributivo medio di genere è di 100 euro (1.400 euro per gli uomini, 1.300 per le donne), ma nei livelli di inquadramento più alti le differenze sono più forti: tra i dirigenti, le donne percepiscono mediamente 220 euro in meno, tra i quadri addirittura 360 euro in meno, ma anche nei livelli impiegatizi la perdita è di 160 euro. Questo si traduce in maggiore povertà femminile, anche nel futuro pensionistico. Le pensioni inferiori a 1.000 euro mensili sono percepite dal 50% delle pensionate, rispetto al 22% dei pensionati.
I divari retributivi si devono ad un diverso impegno lavorativo segnato sostanzialmente dal diverso peso dei carichi di cura, vero tallone d'Achille del divario di genere. Se l'Italia vede un indice di parità di genere fra i più bassi tra i paesi d'Europa in questo ambito, con 40,4 punti contro 42,8 (fatta 100 la parità effettiva), il Veneto vede la donna svolgere l'80 per cento del lavoro domestico nel caso di coppie in cui lavora solo l'uomo, ma comunque si accolla ancora il 70 per cento nel caso in cui entrambi abbiano un'occupazione esterna.
Il rapporto si sofferma abbondantemente sul tema della conciliazione vita e lavoro, mettendo in luce il deficit culturale che sta alla base della società veneta, segnato dalla cristallizzazione dei ruoli di genere. Ecco infatti perché il part time sia sostanzialmente femminile - il 36,2% delle donne occupate contro il 4,3% degli uomini - e come anche la durata dei contratti dipenda dal sesso: fra i tempi indeterminati le donne sono il 57,8% contro il 90% degli occupati.
Migliorare questi numeri verso una maggiore parità non è semplicemente un obiettivo encomiabile da un punto di vista ideale. Scrive nelle conclusioni la consigliera regionale di parità Sandra Miotto, a proposito di una recente ricerca europea sulla materia: "I risultati indicano che aziende con un elevato numero di donne presenti nei Consigli d'amministrazione hanno un tasso di crescita più elevato"; non solo, la consigliera riporta che questa presenza "riduce il rischio di finire in bancarotta almeno del 20%".
Sono insomma maggiori i vantaggi di una maggiore occupazione femminile rispetto a quella maschile, un dato già rilevato da buona parte delle istituzioni coinvolte nelle politiche socio economiche, se non altro per l'evidente ragione che una donna sottratta al lavoro domestico non retribuito, prima o poi consente ad un'altra persona di essere pagata per svolgerlo.
Se è evidente dunque l'esigenza di migliorare i livelli occupazionali e retributivi, è nel come farlo che la consigliera offre qualche suggerimento: gli strumenti più efficaci sono nell'educazione scolastica e nella formazione professionale, in grado di "trasmettere e diffondere la cultura della parità a tutti i livelli e in forma continuata". Serve un rinnovamento culturale al quale sono chiamati manager e imprenditori, per essere declinato in nuovi modelli di welfare aziendale, volti a migliorare il benessere e la vita delle persone.
Serve una migliore armonizzazione tra lavoro e famiglia che strappi l'Italia e il Veneto dagli ultimi posti nel riconoscimento dei congedi parentali, soprattutto fruiti anche dai padri lavoratori, una strategia che ha dato importanti risultati altrove in Europa e che va perseguita con maggiore determinazione.
Il rapporto si conclude con una riflessione sul fenomeno apparentemente distante della violenza di genere, ma in realtà connesso alle condizioni di minore autonomia economica e di rilevanza sociale in cui versano statisticamente le donne: migliorare il lavoro non fa bene dunque solo alle tasche, ma a tutta la società e a quella veneta in particolare.
Il volume può essere richiesto direttamente scrivendo o telefonando all'ufficio della Consigliera, ai seguenti recapiti: telefono 041 2794410 e consigliera.parita@regione.veneto.it. Per la lettura e la consultazione online visita il sito.