Indennità mensili alle consigliere di parità: una questione irrisolta

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[02-05-2023] La Conferenza Unificata, organismo che vede al suo interno i vari livelli di governo, richiama il governo italiano "alla reintroduzione immediata di una copertura finanziaria ad hoc e a regime" per lo svolgimento di quelle funzioni in cui possano inserirsi le attività delle consigliere di parità regionali, provinciali e metropolitane, in modo da riconoscerne valore e ruolo.

 

Il monito arriva con la deliberazione n. 44 del 19 aprile, approvata a seguito della discussione sugli importi da attribuire alle indennità mensili delle consigliere di parità. Si tratta di importi inchiodati dal 2016 a cifre da scandalo, soprattutto per le consigliere di parità provinciali e metropolitane, fissate ad un minimo di 68 (sessantotto!) euro/mese, benché vi sia riconosciuta la facoltà agli enti locali di aumentarle fino ad un massimo del quintuplo. È per l'appunto questa facoltà la spina nel fianco di Province e Città metropolitane, che non sanno dove andare a prendere i soldi. 

 

La questione sta infiammando gli animi delle parti coinvolte (enti locali e regioni di qua e consigliere di parità di là), a seguito di una modifica legislativa del 2015, che riduceva il fondo nazionale ai bisogni del solo ufficio della consigliera nazionale di parità, ponendo fine di fatto alla ripartizione di risorse ai livelli locali con l'assegnazione dell'onere in capo alle rispettive amministrazioni. Era lo stesso periodo della "eliminazione" delle Province e riordino delle funzioni regionali: non ci vuole molto a capire che si trattasse di una missione impossibile. 

 

Dunque anche per il biennio 2023-2024, la Conferenza unificata, oltre a riportare la dichiarazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che evidenzia "l'esiguità degli importi" alle consigliere di parità, raccoglie la rassegnata decisione di Anci e Upi di mantenere la stessa indennità approvata negli altri quattro bienni precedenti, insieme alle loro ragioni, congiuntamente sottoscritte in un documento che viene allegato alla delibera n. 44

 

Nel testo si rimarca, in sintesi, che nonostante i molti emendamenti presentati al Parlamento sulla questione, Anci e Upi trovano ancora scoperto il finanziamento di una funzione fondamentale assegnata loro dalla riforma Delrio, di trasformazione delle Province,  cioè il "controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e la promozione delle pari opportunità", entro cui le funzioni delle consigliere di parità possono trovare piena collocazione: una voce, scrivono nella nota, per la quale era stato già definito il "fabbisogno standard" per complessivi 44 milioni, mai visti e senza i quali risultano sprovviste di idonee voci di bilancio. Meno pressante appare in questo contesto la posizione delle consigliere di parità regionali, che si trovano comunque riconosciuta dalla Conferenza unificata una indennità minima di 390 e massima di 780 euro, certamente più decorose e su cui evidentemente si è registrato un accordo con le Regioni.

 

Di certo la misura è colma per le consigliere di parità locali. Per accedere a tanta generosità, le candidate al ruolo sono richieste di alte e complesse competenze: sulla normativa di parità e pari opportunità, mercato del lavoro, rappresentanza in giudizio per cause di lavoro; per ritrovarsi spesso sguarnite della possibilità di metterle in atto: non sono rare infatti le province che non mettono a disposizione nulla per il loro ufficio. Sorte fortunatamente non toccata alla Consigliera della Città metropolitana di Venezia, sia per l'indennità mensile che per altre spese e rimborsi di missione (vedi alla pagina Chi è)

 

È innegabile il paradosso per cui chi lavora contro le discriminazioni di genere in ambito lavorativo e a difesa, fra gli altri, di uno dei principi cardine della parità di trattamento al lavoro - la parità retributiva - sia soggetto a prestare tale funzione praticamente "a gratis"; se poi questa funzione è svolta soprattutto, anche se non soltanto, da donne (le consigliere di parità) il paradosso raggiunge il colmo. Un indesiderato primato della nostra Italia.

 

 

 

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