25-07-2016 - La direzione territoriale per il lavoro (Dtl) del Veneto e aree provinciali ha rilasciato in questi giorni i dati annuali delle dimissioni volontarie dal rapporto di lavoro dei dipendenti - madri e padri - nel periodo di divieto di licenziamento disposto dalla legge di tutela della maternità e paternità (151/2001).
I dati sono il risultato del lavoro ispettivo degli uffici territoriali del Ministero del Lavoro, che hanno l'obbligo di convalidare le dimissioni e verificare l'effettiva volontà del o della dipendente rispetto ad eventuali forzature da parte del datore di lavoro.
Chi sono. Dal monitoraggio si ricava che nel 2015 gli uffici ispettivi hanno convalidato in tutto il Veneto 4.256 dimissioni volontarie, richieste per il 78,9% da soggetti di sesso femminile. Le fasce di età più coinvolte sono quelle dai 26 ai 35 anni e, in misura lievemente inferiore, dai 36 ai 45 anni. Quasi l'84% dei soggetti richiedenti sono di nazionalità italiana, il 6,5% sono appartenenti ad uno stato membro dell'Unione europea, mentre il 9,6% sono extra Ue. Oltre il 50% hanno un'anzianità di servizio fino a 10 anni. Complessivamente sono appartenenti in gran parte alla categoria impiegatizia e a quella operaia, nessun caso fra la categoria dirigenti. Lavorano soprattutto in aziende di piccole dimensioni, fino a 15 dipendenti. Il settore produttivo più interessato è quello del commercio, seguito dai servizi e dall'industria. Già quest'ultima classificazione indica che ad esserne coinvolte sono soprattutto le donne.
Motivazioni. Qui si disegnano con chiarezza le differenze di genere. Guardando per esempio alle motivazioni dei papà, queste si concentrano quasi esclusivamente sul trasferimento ad altra azienda (84%), poche briciole per il resto. Per le mamme invece, le risposte sono più articolate. Al primo posto c'è l'esigenza di dedicare più tempo alla prole, dichiarata dal 20%. Una risposta che viene da leggere come conseguenza delle altre motivazioni addotte: le mamme lamentano infatti il mancato accesso al nido per il 17%, cui non possono sopperire con una rete parentale alternativa per un altro 12,5%. Si aggiunga che il 14,5% si sente impossibilitata a seguire la prole per mancata concessione di orario flessibile o part-time da parte della propria azienda. Si arriva così al 44% di impedimenti oggettivi a garantire cura alla prole. Tutto sommato i costi per i servizi arrivano verso la fine delle priorità (3,8%). E qualche volta si sopperisce con il trasferimento ad altra azienda, nel 13,7% dei casi (contro, si ricorda, l'84% dei papà). Questa la situazione regionale. Tra le motivazioni esiste anche un'area genericamente definita come "altro" dove si annida comunque una significativa presenza delle dimissioni dei papà e delle mamme e su cui occorrerebbe indagare meglio.
L'area metropolitana veneziana rispecchia il quadro, con alcune sue specificità. Il mancato accoglimento al nido per le mamme veneziane, per esempio, pesa solo per l'1,5%. Loro preferiscono appoggiarsi alla rete parentale, di cui lamentano l'assenza ben il 27,3%. Oltre il 12% si scontra con la mancata concessione di flessibilità nel posto di lavoro e un altro 8,5% trova impossibile conciliare il tutto con la distanza dal luogo di lavoro. Così il 16,4% preferisce dimettersi per stare di più con la prole, mentre il 17,7% riesce a trasferirsi ad un'altra azienda.
I dati evidenziano quanto stenti a decollare la parità di genere nella cura di figli e figlie: sono ancora le mamme a rispondere con il loro tempo e la loro carriera su questo fronte. Basta osservare che per i papà un problema come l'accoglienza al nido non è minimamente avvertito, mentre solo il 3,2% si dimette per una questione di distanza dal luogo di lavoro. Se è comprensibile un maggiore (naturale) coinvolgimento delle mamme nei primissi mesi di vita o nella fase finale della gestazione, non si spiegherebbe però come solo il 2% delle dimissioni avvengano con il primo figlio, mentre il grosso si realizza quando la madre ne ha già uno da 1 a 3 anni: qui sono oltre il 50% i recessi dal lavoro e nel veneziano si sfiora il 60%. Il dato rende del tutto evidente come il sostegno alla cura sia quasi totalmente in carico alla donna e conferma quello più generale che identifica in questa condizione (il 2° figlio) la massima concentrazione di abbandono del lavoro da parte delle donne.